Da qualche giorno non si parla d’altro che della Fase 2, di quanto non cambi nulla o quasi rispetto alla Fase 1 e di come siamo ormai reclusi nelle nostre case, limitati nella nostra libertà.
A seguito di una notizia che sostanzialmente conferma questa reclusione ho percepito molta ironia, un certo sconforto, ma non così tanta rabbia. Piuttosto delusione. Forse alcuni inquadrerebbero questa mancanza di rabbia nel fenomeno della rana bollita di Chomsky, un complotto per addomesticare il popolo e trasformarlo in un gregge obbediente. Potremmo però inquadrare diversamente la questione ed ammettere che stiamo iniziando ad elaborare che ci sia lì fuori una vera emergenza, qualcosa che è più grande e potente di noi: questa sensazione si chiama impotenza e realizzare questa nostra impotenza ci delude.
La delusione, dunque, mi sembra descrivere questo momento proprio nel suo significato profondo di perdita di illusione. Ma di quale illusione parliamo esattamente? Di tante e di una sola: da due mesi ci illudiamo che il covid sia una semplice influenza e poi dobbiamo scontrarci contro qualcosa di sconosciuto e pericoloso; ci dicono che la quarantena potrebbe finire, e poi invece viene prolungata; speriamo che non riguardi noi o i nostri affetti, e poi vediamo le nostre attività chiudere, i nostri figli confinati in casa e i nostri vicini ammalarsi, e a volte morire. E non possiamo celebrarne i funerali, non possiamo seppellire i nostri morti. C’è una impotenza che si impone nella realtà e supera ogni illusione di potenza. Ma siamo sicuri che sperimentare questa impotenza sia qualcosa di negativo?
Non è certamente possibile sminuire l’aspetto tragico con cui ognuno di noi, a suo modo, è costretto a misurarsi quotidianamente. Né possiamo negare che altre difficoltà arriveranno. Dolore, disperazione, rabbia, sono emozioni che è naturale provare in questo momento traumatico. Ma che succede quando non possiamo convogliarle in una forma aggressiva, quando il nemico è invisibile, è più in alto dei governi, oltre il limite stesso di potenza che conoscevamo fino a ieri?
I Greci che avevano una lettura mitologica del mondo, mettevano sopra ogni divinità una dea, Ananke. Ananke era la Natura e la Necessità. La natura esiste e determina in maniera necessaria le conseguenze che costituiscono il mondo così com’è, che noi abitiamo. L’uomo era chiamato “mortale” perché non dimenticasse mai il suo limite, e non peccasse mai di presunzione cedendo all’illusione di poter piegare a proprio totale piacimento la natura stessa.
La nostra cultura pare invece aver quasi completamente ribaltato questo concetto. Homo farber ipsius fortunae, l’uomo capitalista impersona il Mascolino estremo, ovvero l’essere umano (uomo o donna che sia) che attivamente piega tutto ciò che è altro da sé, comprese le leggi naturali, a suo vantaggio: sfrutta l’energia del petrolio, del sole, del nucleare. Sfrutta gli animali in maniera intensiva, dimenticando che sono esseri senzienti, e sfrutta gli altri umani in un sistema disumano e disumanizzante
No, non credo che il covid sia una piaga divina. La natura non ha risentimento, la natura segue il senso della Necessità. Ogni minuto, ogni giro di orologio, ci ricorda che tutto è sottoposto a un ciclo. Una natura ciclica in cui l’essere umano è contenuto, che lo comprende e lo domina. E la posizione esistenziale che comprende e accetta questa dominante necessità si chiama Femminino.
Non bisogna confondere il mascolino con il maschile e il femminino con il femminile. Il Tao, lo yin e lo yang, il giorno e la notte. Tutto nella natura ci ricorda che deve esserci una separazione perché possa esistere quella ri-unione che chiamiamo vita. In fisica la rotazione è data da una coppia di forze. Allo stesso modo il mascolino e il femminino sono due insiemi coerenti di forze, entrambi fondamentali, opposti e complementari, che competono nel senso più etimologico, ovvero anelano all’esistenza, e trovano posto nel ciclo vitale.
Il maschile e il femminile sono due espressioni biologiche che ci ricordano, con la loro varietà, che la distinzione non è netta, e non va intesa come tale. Va invece accettata la variabilità alla quale ogni corpo è sottoposto. Le nostre cellule nascono e muoiono continuamente in un ciclo. Il femminile, tra i suoi compiti, ha quello di testimoniare all’umanità intera l’esistenza del femminino. Il ciclo mestruale, ad esempio, è più legato alle fasi lunari che alla volontà diretta. Ricorda alle donne che il loro corpo non è solo il loro (a dispetto del femminismo più estremo che rischia di mascolinizzare ancora di più la nostra cultura) ma è dominato da Ananke, semplicemente perché così è anche per i maschi. Anche il corpo dei maschi non appartiene loro totalmente: è forse volontario produrre spermatozoi, o avere un’erezione? Per questo il maschile foriero del più radicale Mascolino, il macho, è terrorizzato dall’impotenza sessuale, proprio perché, al contrario del Femminino, si nutre dell’illusione di potenza.
Lacan racconta il mascolino e il femminino nello sviluppo del maschile e del femminile con la differente risposta all’angoscia di castrazione. Il maschile può illudersi più facilmente, restare per tutta la vita un illuso di potenza in lotta contro questa angoscia. Il femminile al contrario deve necessariamente accettarla: solo così raggiunge il punto di passaggio per sentirsi parte dell’intero universo, sentirsi contenuti in esso e, in questa sensazione, contenerlo. Solo attraverso la castrazione, immatura ed evitabile nel mascolino, matura e necessaria nel femminino, si raggiunge davvero la potenza, che non è il dominio sulla natura, ma la sua più profonda comprensione.
E, mi ripeto, questo non ha nulla a che fare con l’essere maschi o femmine. Jung parlava dell’individuo maturo come colui che ha integrato l’animus – il mascolino – e l’anima – il femminino. Diversamente, si è incompleti.
La cultura attuale si avvale e premia invece l’incompletezza: in essa un vero uomo è colui che estremizza il mascolino rinnegando il femminino, e domina senza incertezze. Una vera donna è colei che estremizza il femminino rinunciando al mascolino, e si sottomette senza esitazioni. La cultura patriarcale è perfettamente funzionale in tal senso, è proiettata al funzionamento di un sistema che contempla gli esseri umani come ingranaggi e parti specializzate di una macchina.
Ma gli esseri umani tornano individui liberi se integrano e si appropriano di entrambe le parti, e non tentano di dominare la macchina ma ne contattano l’essenza in ogni sua parte, come uno specchio della loro totale esistenza.
Questo mio corpo mi appartiene, certo, posso farne quello che voglio, ma resto in una illusione di onnipotenza se non accetto che il corpo in generale non appartiene solo a me: la malattia più di tutto, ha tragicamente la potenza di ricordarcelo. Noi tutti apparteniamo all’esistenza e dimenticarlo non può che produrre un’illusione di poter essere estranei dominatori della natura e degli altri esseri umani. Per questo parlare della pandemia come “guerra” al virus ritengo che sia fuorviante, non aiuta: alimenta un’illusione di mascolina potenza. Al contrario la natura non contempla guerra, ma solo necessità.
È indubbio che il mondo in cui viviamo sia sbilanciato verso il mascolino. Il capitalismo ne è l’espressione più lampante, con tutte le sue ripercussioni sulla cultura e sulla psiche. Siamo nell’era della tecnica, come descrive Galimberti, siamo nell’era dell’esecuzione degli ordini umani, della banalità del male. Ma la natura arriva a ricordarci che al di sopra degli ordini umani c’è un ordine ciclico necessario.
C’è una parola che trovo curiosamente significativa ed esplicativa di tutto questo. La parola fallo. Contrariamente a quanto comunemente si possa pensare, questa parola non indica propriamente il pene, ma l’essenza più astratta di qualcosa che può essere utilizzato per agire attivamente sul mondo. Il pene, essendo visibile, maneggiabile, orientabile, si presta ad essere metafora protomentale perfetta a questa concettualizzazione. Ma la posizione fallica è semplicemente la posizione mascolina, la cui parte, potremmo dire “positiva”, è la vitalità, quella perversa invece è l’aggressività fine a sé stessa. In un mondo fortemente capitalista come quello statunitense, trovo significativo che una delle qualità più apprezzate sia il cosiddetto “killer instinct”, che va oltre il concetto di assertività, a indicare la capacità di imporsi e dominare, sbaragliando ogni pericolo reale o potenziale in modo sistematico. Ed è una mera coincidenza linguistica, per quanto curiosa, che la parola “fallo” in italiano sia anche un imperativo, che in inglese si tradurrebbe in “do it”, che non è solo uno slogan commerciale, è invece più ampiamente l’imperativo incombente sul mascolino: “agisci”, non sentire, agisci, automaticamente, a sangue freddo, come un killer. “Fallo” è inoltre in italiano sinonimo di “errore, scorrettezza, incompletezza”. Come se la radice comune di questa parola volesse avvertire il mascolino dell’illusione che essa stessa alimenta, metterlo in guardia sul limite della sua funzione: “sii vitale, attivo, padrone di te stesso, ma ricorda che questa è solo la metà dell’essere, sei incompleto e cadi in errore se dimentichi di essere anche parte del mondo, non padrone onnipotente ma anche dominato, per metà femminino”.
In questo, dunque, ritengo che la pandemia potrebbe avere un valore immenso per il genere umano. Non solo perché sta fermando i consumi, l’inquinamento, il traffico. Questo, se è vero, è solo una saggio di come la natura si sta riprendendo ciò che è suo. Ma il più profondo riequilibrio potrebbe avvenire dentro di noi, riprendendo contatto con Ananke, con il ciclo naturale di cui siamo parte, con la nostra impotenza che ci castra dell’illusione del dominare, e ci restituisce in cambio la pienezza del femminino, dell’appartenenza al tutto. Essere individui adulti e forti non è sinonimo di mascolinità, di capacità attiva e di dominio, quella è solo una metà. L’altra metà è il femminino, l’anima, che restituisce senso e completezza all’individuo e a tutta l’umanità: in questo è il valore del Femminino del quale, forse, è arrivato il momento di riappropriarci.